Il Trentino vanta un territorio dai diversi profili climatici: dal submediterraneo, al continentale, all’alpino, offrendo una variabilità ambientale dalle innumerevoli sfumature. A questa si aggiunge una notevole varietà geologica dei suoli. Queste combinazioni danno la possibilità alle cantine e ai vignaioli di realizzare diverse tipologie di prodotti vinicoli, frutto di una perfetta combinazione fra vitigno e area territoriale. Dalle sponde del Lago di Garda alle terrazze della Valle di Cembra la vite è una delle componenti più significative del paesaggio trentino. Grazie ai tanti microclimi la natura coopera con il talento e l'esperienza dei vignaioli per offrire ottimi vini a Denominazione di origine controllata (DOC) o a Indicazione geografica tipica (IGT).
Per chi volesse approfondire pubblichiamo su questo tema un contributo di Francesco Spagnolli, enologo ed ex dirigente dell'Istituto agrario di San Michele all'Adige
"È opinione di molti studiosi che la vite, pianta di origine euro-asiatica (probabilmente dall'Armenia) poi ampiamente diffusa nell’areale circum-mediterraneo, sia in grado di dare ottimi risultati per alcune tipologie di vino in condizioni di "sofferenza ambientale”, soprattutto per l'aspetto climatico. In effetti, prendendo in considerazione quello che è considerato il più famoso spumante del mondo, vale a dire lo champagne, si nota come Épernay, ritenuta la "capitale enologica" dell'intera regione, risulti pressoché tagliata in due dal 49º parallelo di latitudine nord, quindi non molto lontano da quello che si ritiene il limite settentrionale per la coltivazione della vite nell'emisfero boreale (50°). Molti ricercatori si sono occupati nel secolo scorso delle esigenze climatiche della Vitis vinifera: a partire dall'americano Winkler, per arrivare all'alsaziano Huglin, ed infine all'italiano Fregoni. Tutti hanno effettuato le loro ricerche sulle cosiddette "temperature attive" vale a dire sulla sommatoria delle temperature medie giornaliere, decurtata di 10°C (inizio del periodo vegetativo) dal 1 aprile alla data di vendemmia. Il primo a fare meticolose osservazioni sul comportamento della vite in funzione del clima fu Julius Guyot (proprio quello passato alla storia per aver "inventato" il sistema di allevamento che porta il suo nome, ma in realtà lo aveva solo descritto) che nella sua opera "Studi sui vigneti di Francia" pubblicata intorno al 1870 osservò come 1° di latitudine in meno corrisponda all'incirca a 70 m di altitudine (riferendosi all'emisfero boreale) mentre l'innalzamento in quota di 150 m corrisponde alla diminuzione di circa 1°C sulla temperatura media annuale del sito (grosso modo -0,33°C per ogni 50 m). Anche il famoso ricercatore e docente universitario trentino (anche se di adozione e non di nascita), il professor Attilio Scienza, si è occupato, tra l'altro, degli effetti della dell'aumento della quota altimetrica sulla fisiologia della vite, ed in particolare sull'andamento della maturazione, e sulla fisiologia del grappolo. Sintetizzando alcune sue pubblicazioni possiamo ritenere che la quota provoca un ritardo sulle varie fasi del ciclo vegetativo, dal germogliamento fino alla vendemmia. Restando all'ambiente viticolo Trentino, distribuito grosso modo per metà sotto e per l'altra metà sopra il 46º parallelo, l'elevazione in quota di 200 m sul livello del mare (fondo valle della Vallagarina e della Val d'Adige) ai 600 m (alta collina e bassa montagna) provoca in media circa 15 giorni di ritardo. Altra importante osservazione riguarda il peso del grappolo dove la diminuzione in funzione della quota sopracitata si è dimostrata intorno al 30% per le varietà studiate (Chardonnay e Pinot Nero). Ma gli aspetti enologici più significativi riguardano la fase compresa tra l'invaiatura e la maturazione (vendemmia): qui infatti la quota con le sue escursioni termiche (differenza in termini assoluti tra la massima e la minima giornaliera) più elevate nella fase I-V determinano un sensibile rallentamento nella degradazione dell'acido malico con conseguente acidità titolabile più elevata e pH più bassi, elementi compositivi del mosto da tenere particolarmente presenti nell'elaborazione delle basi da destinare alla produzione di Trento DOC. Tuttavia l'influenza della quota sulla struttura acidica del mosto è solo la punta emersa di un iceberg (elementi relativamente semplici da dimostrare): sarebbe coinvolta, infatti, anche la sintesi e soprattutto l'accumulo degli zuccheri, nonché quella dei tannini e degli antociani ed infine lo stesso discorso vale per le sostanze aromatiche compresi i loro precursori. Ma c'è di più: anche l'andamento della fermentazione alcolica risulterebbe influenzato da questi aspetti compositivi: gli studi effettuati dal professor Fulvio Mattivi (già ricercatore IASMA-FEM e docente universitario) dimostrerebbero che alcuni composti, con risvolti olfattivi positivi, risulterebbero in concentrazione ben differente nello spumante Trento DOC rispetto ad un Franciacorta D.O.C.G. In effetti la collocazione altimetrica media dei vigneti che danno origine alle due differenti tipologie di bollicine classiche risulta ben diversa (quelle trentine in media 150-200 m in più). Il suolo, invece, non risulterebbe così influente, anche se la tipologia ritenuta migliore (quella di origine marnoso-calcarea con ottimo drenaggio) sarebbe più frequentemente riscontrabile nell'alta collina o montagna rispetto al fondovalle; il ruolo del calcio, soprattutto nei meccanismi di assorbimento radicale che ostacolerebbero il potassio (responsabile della salificazione dell'acido tartarico e quindi della diminuzione dell'acidità titolabile), eserciterebbe anche un'azione di contenimento sulla vigoria della vite con conseguenze qualitative del vino facilmente intuibili. Da non sottovalutare infine l'attenta scelta del portainnesto, sia in funzione della tolleranza al calcare attivo, sia, anche se in maniera più modesta, della vigoria conferita alla marza. In definitiva trovare l’areale più idoneo in funzione della tipologia di vino che si intende ottenere è un compito tutt'altro che agevole per la vite e per il viticoltore anche perché, considerando che la durata economica del vigneto oscilla fra i trenta e i quarant'anni, commettere errori nella fase delle scelte di impianto, potrebbe risultare fatale per il successo qualitativo di ciò che si intende produrre".